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Le vicissitudini in Albania

 

Arrivò l'ordine di andare in una posizione tra Bulgaria e Montenegro, per evitare gli scontri tra le due nazioni alleate dell'Italia. Mauro, in questo periodo, per l'assenza del capitano, comandava la compagnia in quanto più anziano degli altri. P., suo amico, era il vice - comandante di compagnia. Il tempo era inclemente. Finirono affogati nel fango e solo una parte della compagnia andò avanti verso il confine tra Romania e Montenegro, dopo Tropoje. Mauro e la sua compagnia si fermarono su un cocuzzolo in una radura del bosco. Qui si accamparono, avendo a disposizione anche i viveri che sarebbero toccati agli altri (che erano andati avanti), comprese le riserve. I cucinieri chiesero a Mauro cosa fare di tutto quel cibo. Fu loro ordinato di cucinarlo. A questo "supplemento" di cibo fu attribuito il fatto che si sviluppò nel campo una diarrea generale con conseguenze immaginabili. Furono costretti a prendere provvedimenti, che risultò, ovviamente, anche difficile comunicare alla truppa. Mauro, da comandante, riunì la compagnia e disse ai soldati che, continuando in quel modo, il campo rischiava di diventare un letamaio. Di conseguenza fu ordinato alle sentinelle di prendere i nomi di coloro che facevano i propri bisogni all'interno del campo (avrebbero subito, naturalmente, le punizioni conseguenti, nella fattispecie, il ritiro del soldo). Le stesse sentinelle avrebbero dovuto accompagnare chi doveva "cacare", fuori del campo. L'assemblea si chiuse tra battute salaci, risatine generali, commenti… La sera, andarono tutti a letto, ma accadde che Mauro, nel sonno, fosse colto da uno stimolo irresistibile, a cui doveva dare sfogo immediato. Aveva quindi solo il tempo di uscire dalla tenda e di fare i suoi bisogni. La sentinella che era di servizio lo vide ed esclamò: "Te gò ciapà, fiòl d'un can!". Si avvicinò, accese la torcia, riconobbe in Mauro l'ufficiale comandante che faceva i suoi bisogni e… si mise sull'attenti! (Molti anni dopo, Mauro narrò questo episodio a Federico Fellini che, ridendo di cuore, disse che questa sarebbe stata una bella scenetta da inserire in un film che parlasse in maniera un po' scanzonata della guerra).

Era perfettamente naturale che un gruppo di giovani ufficiali, sotto la spinta della loro irrefrenabile vitalità, ricorresse a degli espedienti per sopravvivere alla noia del servizio imposto dalle necessità militari. Infatti capitò al Battaglione, assegnato alla Compagnia Comando, un anzianissimo capitano, piuttosto male in arnese, che divenne oggetto di ogni specie di scherzi, ai quali il poveraccio soleva assoggettarsi con difficoltà. I giovani, rivolgendosi a lui, dicevano: "Devi farti rispettare! Dai troppa confidenza agli altri!". Una mattina Mauro, dopo aver fatto servizio di picchetto durante la notte, una volta svegliatosi, andò incontro al signor Capitano, come al solito, in tono confidenziale. Questi, però, dopo aver ascoltato i consigli degli altri ufficiali, con aria di comando gli ordinò: "A tre passi di distanza! A tre passi di distanza!" (i colleghi infatti gli avevano ricordato che il regolamento indicava che i subalterni dovessero rispettare questa distanza nei confronti del loro superiore). Mauro ne fece molti di più, di passi e … se ne andò. Ognuno, naturalmente, può immaginare la risposta che diede al capitano, tra i denti…. Il suo atteggiamento si riconfermò con altri colleghi, specialmente giovani, i quali, messisi d'accordo, un giorno incaricarono un soldato di raccogliere nelle camerate tutte le cimici che trovavano; di chiuderle poi per tre giorni in una scatola di cerini, in modo da lasciarle digiune. Quelle cimici furono poi messe nel letto del signor Capitano, il quale, stanco morto, dopo l'istruzione, se ne andò a riposare. Mauro e i suoi commilitoni, tutti in gruppo, si sedettero sugli scalini accanto alla porta della stanza nella quale il Capitano riposava, per godersi la scena…. Il Capitano uscì di corsa a rinfrescarsi tuffandosi nella fontana, perché le cimici se l'erano letteralmente … mangiato vivo!

In quel periodo, Mauro era di servizio, col suo plotone distaccato, al cosiddetto Campo di aviazione. Il Capitano, spinto dagli altri, disse: "Andiamo a far visita a Masi, al Campo d'Aviazione!" Il Capitano B. quindi, si recò da Mauro, senza sapere che era stato organizzato un finto attacco a fuoco. Tutti, essendone all'oscuro, fuggirono spaventati. Il Capitano rimase accovacciato dietro un nascondiglio di fortuna, morto di paura, fino a quando il Colonnello, che - in quel giorno di festa (era domenica) era stato avvertito - mandò la carretta dell'infermeria per raccattarlo. Gli scherzi non finirono qui. Nella mensa ufficiali gli offrirono una sigaretta nella quale era stata introdotta una coccola di polvere pirica che si infiammò…. Per sua fortuna, il Capitano venne presto rimpatriato.

Nelle ore di libertà Mauro e compagni frequentavano talvolta una farmacia gestita da un dottore ebreo, che teneva molto alla loro amicizia (per ovvi motivi, essendo ebreo), oltre ad essere una persona abbastanza colta, come gli amici di Mauro. Accadde per combinazione che, osservando il banco di vendita, scorgessero un contenitore di vetro trasparente con la scritta "cioccolatini purgativi". Ne acquistarono subito una bella quantità e, una volta tornati in camerata, li misero sul tavolo, nascosti dai libri in modo che se ne scorgesse soltanto qualcuno. Si misero quindi a letto, fingendo di dormire. Il ritorno rumoroso degli altri camerati fu seguito da sussurrate parole di gioia: "I cioccolatini, i cioccolatini…". Questi furono quindi immediatamente scoperti e trangugiati con avidità! Nella notte, Mauro e i suoi amici li sentirono che, ad uno ad uno, scendevano dal letto per correre al bagno, più di una volta. Di ritorno dal bagno, si incontrarono due vicini di letto e uno di loro se ne uscì con questa espressione: "Quel ladro di P., che ci fa mangiare sempre pasta e fagioli!". Al che, Mauro, M. e P. non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono in una fragorosa risata! Il giorno dopo i malcapitati dovettero pagare da bere alla mensa a tutti i presenti, tra le risate di G., il medico che aveva loro fornito abbondantemente dosi di pillole di Bismuto (contro la diarrea).

Quando il nuovo Colonnello prese servizio dome Comandante di reggimento, iniziarono delle grandi manovre, inutili e faticosissime, di esercitazione. Una di queste era all'uso dei nebbiogeni. Compiute le necessarie manovre di squadre e di plotoni, Mauro stava rientrando con il suo plotone all'adunata, per la conclusione della manovra. Nella nebbia, sbucò un gruppo di inopinati militi che li dichiararono prigionieri della fazione opposta. Avevano invece fatto male i conti, con tutti loro. Senza esitazione, Mauro e il suo plotone li dichiararono loro prigionieri. Tra l'altro erano capitanati da un semplice capo - manipolo, mentre Mauro era di grado superiore, tenente. I militi quindi gli obbedirono con malcelati mugugnii. All'adunata, li imbarcarono con gli altri prigionieri e la cosa finì tra le risate generali di Mauro e compagni. Rientrati a Giacoia, dove stavano di presidio (era la sede del battaglione e di tutto il reggimento), dopo il soggiorno a Pec, venne l'ordine alla compagnia di Mauro, di trasferirsi a Letài, a presidiare la miniera di cromo. Qui passarono diversi mesi, che rappresentarono un dolce periodo di riposo, reso piacevole sia dalla conoscenza dell'ingegnere capo, direttore della miniera, che da quella delle squadre di operai italiani che vi lavoravano insieme al personale impiegatizio albanese e al gruppo di operai e operaie albanesi addetti al lavoro di estrazione. Si avvicinava l'8 settembre e i discorsi cominciavano a convergere sulle ipotesi dei loro futuri destini. Il fatto che Mauro era stato in licenza, stimolò le conversazioni sia con l'ingegnere capo sia con gli altri, per avere lumi su quello che accadeva in Italia in quel periodo. Mauro aveva ricevuto informazioni a Roma, dove, ospite di suo zio Edmondo, in compagnia di sua madre, aveva compreso che ormai la guerra era agli sgoccioli, mentre in patria si organizzavano i partiti democratici e i Comitati di liberazione in vista di ciò che sarebbe puntualmente accaduto. Mauro era al corrente dei contatti che c'erano stati tra la monarchia e Badoglio (capo dimissionario dell'esercito) e di tanti altri problemi che riguardavano le condizioni della popolazione civile esposta senza difese ai bombardamenti e alle incursioni alleate. Coltivare l'amicizia con il direttore della miniera, persona molto intelligente, divenne una delle occupazioni quotidiane più interessanti. Correvano in quel tempo le voci di un avvicinamento della Compagnia di Mauro alle coste, in vista di un probabile ritorno in patria, cosa che sembrava loro difficile se non improbabile. Finito questo "dolce" periodo a Letài, rientrati in caserma a Giacova, un giorno andò a far loro visita proprio l'amico ingegnere, che chiese di parlare proprio con il tenente Mauro Masi. Il Tenente Colonnello si meravigliò che cercasse proprio lui e disse: "Cerca un ragazzino?". "Sì - rispose l'ingegnere - io sono proprio un suo grande amico…". Il Colonnello quindi lo fece chiamare dal suo portaordini e, quando lo vide, disse (visto che stava arrivando un giovanissimo ufficiale, minuto di corporatura): "Se 'i vien li inglesi, i lassemo passar…" (naturalmente senza poter opporre resistenza…). Mauro e il suo amico ingegnere si scambiarono i saluti, parlarono delle loro cose e infine si salutarono contenti di essersi rivisti.