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La vita nel campo di Biala Podlaska

 

Conobbero il "menu" della mensa, fatto di cavoli, patate, rape da foraggio, carote ed altri "lussuriosi" ingredienti. Assaporarono il piacere di vedere i ragazzi del posto che passavano davanti ai reticolati sgranocchiando mele, carote crude e, talvolta, anche biscotti (senza poterne, ovviamente, mangiare). Impararono a fare il calcolo delle possibilità di sopravvivenza in base alla quantità delle calorie stabilite dalla Convenzione di Ginevra. In base a tale calcolo spettavano, ad ogni individuo, per esempio, una certa quantità di patate...(naturalmente era un calcolo assurdo!). Dormivano nelle cuccie e il giorno aspettavano il rancio: si iniziava con un infuso di "qualcosa" (non si sapeva a base di cosa fosse preparata); poi, la distribuzione del pane (una pagnotta in cinque), che veniva tagliato in misure uguali; una razione di margarina o di "qualcos'altro" da dividere in parti uguali tra 25 persone. Alle 11 il primo rancio: una minestra di carote e patate e un paio di patate a testa. Queste ultime erano divise in mucchietti, possibilmente uguali, e tirate a sorte per ciascuno dei prigionieri. La distribuzione del cibo era un mezzo di sopravvivenza. La margarina era misurata al centesimo di grammo con degli strumenti rudimentali costruiti da loro stessi. Naturalmente, in due anni, Mauro non ha mai lavato i denti. La corvée del rancio era formata dagli ufficiali che erano di servizio dall'alba fino al tramonto per queste operazioni: 1) distribuzione dell'infuso di tiglio (bevanda che doveva servire anche come acqua) 2) distribuzione del pane e della margarina (5 grammi), del rancio alle 11 e alle 18. Quando andava bene, si mangiava, la mattina, un pezzo di pane e due grammi di margarina, se eri riuscito a conservarlo dal giorno precedente. I componenti della camerata erano quindi 25 morti di fame.

In mezzo alla camerata, nella baracca, c'era un tavolo lungo. Sopra venivano messi, al momento del rancio, due secchi, uno con le patate e uno con la minestra. Venivano poi disposti tutti i gamellini. M., un ufficiale della camerata, col mestolo, vi metteva la razione del rancio (circa un mestolo e mezzo). Tutti erano attenti perchè il mestolo pescasse in fondo al secchio e non prendesse solo acqua per riuscire ad avere un po' di cibo solido. La distribuzione avveniva secondo un ordine preciso, perchè non vi fossero favoritismi da parte dell'ufficiale addetto. A ognuno corrispondeva un numero. Il distributore, dunque, non sapeva in realtà a chi sarebbe andata quella singola porzione di rancio. Questa esperienza fece capire a quegli uomini quanto fosse diversa la FAME VERA dall'appetito, tanta era la fame che annebbiava la vista! Un giorno, mentre si attendeva l'arrivo del rancio, viene, trafelato, uno della baracca dove era Mauro e dice: "G., è successa una disgrazia!". "Che disgrazia?" "Il portatore è scivolato e ha fatto cadere il rancio". "Allora è veramente una disgrazia!", convennero tutti. Per fortuna, andarono di nuovo in cucina e riuscirono ad avere mezzo secchio di "sbobba". Un giorno, nella distribuzione, andò "in bianco" lo stesso distributore. Fu allora deciso che ognuno dei commilitoni desse qualcosa, a cominciare dal capo camerata, capitano T., il quale esordì in questo modo: "Questo è il mio cucchiaio di brodo e questo è il pisello. Io ne ho avuti quattro". Peraltro, a onor di cronaca, bisogna ricordare che lo stesso secchio che di giorno serviva per il pasto, di notte veniva usato per i bisogni corporali...

I tedeschi consegnavano le razioni, i viveri, alle cucine italiane, che erano curate dagli addetti, cucinieri e dirigenti del comando, che erano tutti "la faccia della salute" (mangiavano anche per gli altri...). Tutti gli altri facevano la fame. Un esempio di "menu": crauti sott'aceto, conservati in grandi bidoni (quelli per il carburante), bolliti e serviti, dall'odore nauseabondo e dal sapore orrendo. Venivano, nonostante tutto, mangiati con avidità. Per fortuna furono serviti poche volte, in occasione delle quali solo qualcuno osò rifiutarli! Un giorno, scoprirono, nella lista dei cibi, che nel menu era contemplata dalla Convenzione di Ginevra una razione di marmellata che però non si era riusciti ad avere. Al posto di essa, nel calcolo delle calorie, diedero tre grammi di margarina, subito ribattezzata col nome di "marmellina". Si provò ad uscire da questo tunnel visitando la discarica dove si buttavano le bucce di patate e altri scarti, come le bucce delle carote da pulire e arrostire sulla stufa. Un disegno di M.P., amico di Mauro, raffigura la strenna di Natale: due ufficiali con un telo da tenda aperto, su cui un altro militare carica le bucce di carote. Sotto al disegno, la dicitura: Quantus mutatus ab illo! Un amico di Mauro, M.P., lo prese da parte e gli raccontò del mercato nero che avveniva, ormai sempre più debolmente (perchè gli oggetti di scambio si andavano esaurendo e, quindi, i prezzi crescevano). Gli confessò che un capitano "cacava le uova come una gallina", perchè aveva una cintura fatta con piccole monete d'oro che riusciva a scambiare ottenendone uova. Andava, in pratica, al reticolato, avvicinava una sentinella e barattava oro per uova.

Con la fine dell'autunno, folate di vento ghiacciato annunciavano un'invernata durissima, almeno da quanto raccontavano gli operai polacchi che venivano a riparare con carta catramata i fori della baracca (che era di legno). Stretti intorno alla stufa, i militari facevano i piani di resistenza attorno al fuoco, mentre seguivano con grande interesse il lavoro degli operaiche chiudevano i buchi dalle pareti o del soffitto, dai quali sarebbe potuta entrare la micidiale tramontana. Quando gli operai raccontavano della triste sorte degli altri prigionieri, sentivamo correre addosso dei brividi non descrivibili al linguaggio umano. Fortuna volle che quell'anno le giornate più fredde non superassero i 20 gradi sotto zero! Mauro e compagni scoprirono anche che le sigarette composte da un grosso bocchino e da una piccola parte di tabacco fortissimo, non erano così confezionate per il problema della nicotina, ma perchè, d'inverno, potessero essere fumate coi guantoni! Tuttavia i polacchi non avevano alcuna idea di quelle che erano le temperature invernali in Italia, che solo in alcune regioni superavano i 5 o 6 gradi notturni! I polacchi si meravigliavano anche quando Mauro e i suoi colleghi raccontavano loro che in Italia, non appena le nubi sgombravano il cielo e il sole spandeva i suoi raggi, anche in pieno inverno, la neve si scioglieva subito. Gli italiani facevano poi loro notare che si meravigliavano, dunque, quando lì, pur brillando il sole, la temperatura non riusciva mai a superare lo 0, trasformando il fango in una pista durissima.

Il problema più angoscioso, quando soffiava il terribile vento dell'est, era quello di raggiungere i cosiddetti bagni per esercitare le inevitabili funzioni fisiologiche. Argomenti proibiti nei discorsi dei prigionieri erano quelli che riguardavano le pietanze e i cibi di una normale alimentazione. Basti a questo proposito ricordare il senso di gioia che si diffuse tra i commilitoni quando si sparse la notizia che avrebbero avuto una razione di birra, e la conseguente delusione causata dalla mancata distribuzione! Il freddo si sentiva molto anche per la malnutrizione e la scarsità dell'abbigliamento. Anche il carbone della stufa era insufficiente. Perciò, dopo elaborati sorteggi, il gruppo di servizio andava di notte ai depositi di carbone, armati di palette di fortuna (coltellini e oggetti contundenti erano proibiti) sfidando le guardie e i cani, per rubare un po' di carbone e non tornare a mani vuote in baracca. Bastava anche un solo pezzo di carbone! Ciò consentiva le riunioni intorno alla stufa, quando faceva buio (cioè tra le due e le tre del pomeriggio). In queste occasioni, al di fuori di lunghe sedute di spiritismo (per illudersi di sapere dagli spiriti quando sarebbero stati liberati e da chi), era assolutamente proibito parlare di pranzo e di altre cose che riguardassero quell'intoccabile argomento della fame. Per restare in materia, forse il cibo più disgustoso fu quello che propinarono loro con la minestra di cavoli conservati in grossi bidoni di metallo, coscienziosamente bolliti. Quando ci ripensa, Mauro sente ancora quella puzza sotto il naso! Egli, però, malgrado il loro disgustoso sapore, suggerì di mangiarli e, dopo pranzo, di sorseggiare un mezzo bicchiere dell'infuso di tiglio che la mattina distribuivano come razione di liquido per l'intera giornata. Sarebbe stato naturalmente necessario, per assimilare una minestra così indigesta! Le delizie più attese erano invece quelle delle minestre di carote e patate o di semi di miglio.

Furono distribuite anche cartoline da spedire ai propri parenti, che erano, per così dire, già "preconfezionate". Vi era infatti scritto: "Je suis en bonne santè ou leggerment blessè" ("Sono in buona salute o leggermente ferito"). Questo fu il primo segnale che essi diedero ai loro familiari, perchè le cartoline riuscirono ad arrivare nei loro luoghi d'origine. Mauro, quando ritornò a casa, decise purtroppo di distruggere queste cartoline che i suoi avevano conservato. Quando poi li trasferirono a Norimberga, alcuni militari provarono a scrivere su fogli da lettera da inviare alle famiglie frasi come questa: "Qui spira aria di maestri cantori". In questo modo, volevano dare indicazioni che portassero ad individuare il luogo dove erano, cioè Norimberga! La censura tedesca, naturalmente, le rimandò indietro, con le oppurtune sottolineature delle frasi incriminate! Mauro e i suoi commilitoni subirono anche un'irruzione dei tedeschi nella loro baracca; essi avevano intenzione di scovare un apparecchio radio nel campo. Non avendo avuto tempo di nasconderlo prima che avvenisse la perquisizione, Mauro e compagni vi si sedettero sopra e, per loro fortuna, i tedeschi non si accorsero di nulla. Una volta andati via, lo distrussero a pezzettini. Alla seconda irruzione, infatti, i tedeschi non avrebbero potuto trovare veramente più nulla. Una parentesi può ora riguardare storie di cappellani militari. Due casi capitarono sotto gli occhi di Mauro. Tutti cercavano conforto in qualche cosa, e ognuno partecipava alle preghiere recitate dai cappellani che, di baracca in baracca, cercavano di dare un po' di conforto a ciascuno. Si narrava che don A., sacerdote del reggimento di Mauro (in ambito militare, in ordine discendente, si aveva l'armata, la divisione, la brigata, il reggimento, la compagnia, il plotone, la squadra), avesse particolari "facoltà", quale quella accertata e provata dal fatto che ogni volta che veniva in visita al battaglione, una tempesta portava via le tende! Pare che un gruppo di amici, in una piovosa notte kossoviana, abbia furtivamente introdotto una donna nella sua tenda... . Del resto non si ha notizia. L'altro cappellano che conobbe Mauro, invece, aveva con sè una valigia piena di ostie non consacrate, insieme all'occorrente per dire messa. Quando giunsero a Biala Podlaska, "più che il dolor, potè il digiuno": tutte le ostie furono mangiate.