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L'arrivo in Albania

 

Alla partenza, incontrò il fratello di un valoroso compagno di scuola, B. R., ragazzo di straordinaria vivacità intellettuale. La tradotta li avrebbe portati, attraverso la Jugoslavia, a Kossowopolie. In treno, Mauro scoprì che il suo collega soffriva di reumatismi e già alla stazione di Lubiana non potè togliersi gli stivali per i gonfiore dei piedi. Si tennero sempre buona compagnia e divisero anche le provviste che avevano portato con loro, tra le quali delle ottime soppressate. Integravano così il magro rancio che veniva propinato dalle cucine del treno. Tra le continue soste, a causa di allarmi, attraversarono tutta la Jugoslavia: Lubiana, Zagabria, Belgrado, fino a Kossowopolie, dove Mauro si separò dall'amico e raggiunse il Campo Contumaciale. Lì avrebbe dovuto, insieme ad altri commilitoni, trascorre 40 giorni, per motivi igienici. Qui li alloggiarono in alcuni fabbricati vasti e - quel che più conta - senza alcuna possibilità di difesa dalle aggressioni. Mauro incontrò un gruppo di amici interessati ai problemi culturali. Conobbe Crònin (autore di "E le stelle stanno a guardare"), Lajos Zilai (scrittore ungherese) ed altri importanti esponenti della letteratura centro-europea dell'epoca. Accanto a questa specie di campo per Ufficiali c'era il Campo dei soldati. Qui Mauro incontrò B., di Potenza, che gli disse che la loro destinazione era Pec (elemento che aveva dedotto dall'indirizzo della posta militare). Insieme a questo soldato frequentò, la sera, alcuni cafani (caffè albanesi) dove per la prima volta in vita sua assaggiò lo yogurt, questa volta veramente balcanico! Mauro, in treno, raggiunse Pec, dove incontrò gli amici che erano arrivati prima di lui. Fu assegnato al III Battaglione del Reggimento di stanza a Pec e subito assegnato alla Compagnia Comando. Il giorno seguente al suo arrivo, fu assegnato al Plotone Segnalatori. I Segnalatori avevano delle "bandiere a lampo di colore", per comunicare per mezzo dell'alfabeto Morse. Mauro fece osservare al Capitano G. che non conosceva l'alfabeto Morse (non gli era stato insegnato al Corso). Tuttavia, doveva prendere ugualmente servizio. Gli esercizi, quindi, venivano diretti dal Sergente, che istruiva i soldati al posto di Mauro. Questo era l'esercito italiano! Mauro fece presente questo al Colonnello il quale gli fece notare che questi mezzi di comunicazione, nelle esperienze belliche che lui aveva avuto, non erano serviti assolutamente a nulla. Le preoccupazioni di Mauro erano quindi infondate. L'unico mezzo di comunicazione valido, in guerra, erano i portaordini.

Tutti i sottotenenti nuovi arrivati furono assegnati alle diverse compagnie. Quindi, Mauro conobbe gli altri colonnelli e gli altri subalterni, con i quali lui e il suo gruppo non si assimilarono, perché i primi erano anziani, mentre loro erano ragazzini di scarsa esperienza, infarciti ancora della falsa propaganda di regime. Nessuno di loro infatti sapeva cosa era veramente successo in Albania e perciò gli anziani non li consideravano per nulla. Il colonnello decise di metterli tutti insieme (Mauro, P., M., P. ed altri…) in una camerata, nella quale cominciarono a fraternizzare secondo i parametri della loro giovane età. Il camerone era adiacente alla camera del Capitano vice - comandante di Battaglione, ex legionario dell'Africa, L. - P., figlio di un generale dei carabinieri. Lui, a sua volta, era fascista, squadrista e sciarpa littoria. Era convinto che avrebbe addomesticato questi ragazzi facendogli dimenticare la loro gioventù borghese. Gli ultimi arrivati, tra i quali era Mauro, dovettero sottoporsi alle punture regolamentari antitifiche, antitetaniche ecc. Restarono quindi in camerata, esonerati dal servizio per quella serata. Uno dei sottotenenti, compagno di Mauro, M., ebbe bisogno di andare al bagno e scese alle latrine del I° piano. Allora gli altri architettarono un progetto per dargli una "rinfrescata". Va notato che il signor Capitano, quando sentiva chiasso nel camerine, vi entrava senza bussare, forte del suo grado. Per combinazione, Mauro vide dalla finestra che il capitano L. rientrava in caserma dopo le istruzioni. Nel frattempo l'apparecchio - un mastello colmo d'acqua - era pronto sulla porta, per "accogliere" M. al suo rientro. Mauro disse ai compagni di battere i piedi sull'impiantito di legno, per far sentire al Capitano L. che non rinunciavano alle chiassate. Egli, richiamato dallo strepito, sarebbe entrato nella camerata. Il Capitano infatti aprì la porta e il mastello gli cadde addosso. Era uno spettacolo: da gradi, nastrine, divisa, scorreva acqua, mentre il malcapitato si ritirava frettolosamente. Dopo la doccia fuori ordinanza, ad uno ad uno richiamò gli autori dello scherzo nella sua stanza e li mise sull'attenti. Mauro fu l'ultimo. Quando arrivò, dopo aver ascoltato la sua paternale, Mauro chiese la parola. La risposta del Capitano fu: "Vattene via o ti sparo!". L'ordine che aveva impartito era quello di non far sapere nulla ai soldati riguardo all'accaduto. La notizia invece si sparse a macchia d'olio e tutti ridevano dell'"eroe bagnato". Alla sera il Capitano dovette pagare da bere a tutti (mentre il Colonnello Z. se la rideva in segno di complicità), come era consuetudine per tutti coloro che subivano scherzi.