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La 'Voce di San Gerardo'

 

Un giorno, nella camerata di Mauro venne in visita un gruppo di ufficiali che accompagnavano - indovinate chi? - il tenente Wuhrer, figlio del proprietario della fabbrica di birra. La sua figura risvegliò in tutti l'immagine desolata della birra! In quell'occasione, un gruppo di ufficiali cantò le canzoni del campo. Ecco l'inizio di una di queste: "Con la sveglia delle sette giunge il figlio la mattina, /microscopiche le fette di quel pane e margarina / campo triste tra le mammole nascoste del bagaglio e della veste / poche cose son rimaste, le domande, le risposte e quel cesso che è una peste / per un uovo, facce toste, 1000 lire domandate / campo triste...". Oppure, si suonavano canzoni nostalgiche: "Ogni pena del mio cuore / è il nostalgico dolore / di non rivederti mai più...". La serata finì al ritmo delle tante canzoni nate proprio nel campo di concentramento... Venne anche il giorno in cui il fratello di M.P., uno dei prigionieri, giunse al campo di Biala Podlaska proveniente da Roma, dove era stato catturato. Era un pomeriggio di sole, quando andarono a riceverlo all'ingresso del campo. I. abbracciò il fratello M. e gli altri componenti del folto gruppo dei lucani. Gli cedettero metà della loro razione di pane, necessario soccorso dopo migliaia di chilometri trascorsi, digiuno, in un carro-bestiame. Qui nacque l'idea di annotare in un giornalino, un numero unico, gli episodi della sciagurata avventura. Si ritrovarono qualche giorno dopo e, come dice l'articolo di fondo del giornalino che stilarono, li "sovrastava, ostile e nemico, il cielo di Biala", che dava e prometteva neve e ghiaccio. L'articolo intitolato "Il fiore" li esortava a conservare e a custodire questo giornalino come memoria del loro calvario. Nacque così "La voce di San Gerardo" di cui fu direttore M.P.. Tutti gli altri contribuirono alla stesura, secondo le loro possibilità. Gli articoli furono scritti a mano da R.R.. Allora non esistevano penne biro, bensì inchiostro e pennini. I disegni con i pastelli che ognuno di loro aveva conservato, restituirono a futura memoria tutti i ritratti dei componenti del gruppo e alcune note particolari. Tra queste, compare la reclame delle "patatiglios extra" e del particolare abbigliamento di alcuni prigionieri particolarmente segnati dai combattimenti contro gli albanesi, avuti prima della cattura da parte dei tedeschi (un'inserzione pubblicitaria recitava, ad esempio: "Masi veste tutta l'Europa").

Cominciarono a circolare alcuni libri che erano scampati alle diverse perquisizioni e traversie del viaggio. Ognuno si arrangiava come poteva per non impazzire: il violinista suonava il suo violino, il pittore dipingeva o disegnava. Capitò di leggere "Mastro don Gesualdo" di Giovanni Verga. Di questo, in particolare, fu letto e riletto, passando di mano in mano, il seguente episodio: Mastro don Gesualdo al ritorno dalla Corinzia mangiava una minestra di fave novelle con in mezzo una cipolla! Che delizia! I prigionieri dei tedeschi, poveri diseredati, dopo i combattimenti sostenuti con gli albanesi, e il lungo tragitto da pec a Priznen, erano rimasti privi di qualsiasi bagaglio e di qualsiasi altro oggetto che non fosse altro che la logora divisa che indossavano. I tedeschi li radunarono, un giorno, nella grande spianata del "Campo A" (vi era anche il "Campo B") e li rivestirono con le divise russe: cappello e pastrano divennero il loro "look". Dopo la pioggia, che aveva reso il campo un'impraticabile fanghiglia, venne il freddo, che però non superò mai i 20 gradi sotto zero. Immaginate il gruppo di ufficiali intorno alla stufa, unico mezzo di riscaldamento. Se la si trovava spenta dopo l'appello, non rimaneva altro che la disperazione. All'appello, che si teneva alle 7 di mattina, andavano avvolti nelle coperte. In questo modo si intravvedeva solo il naso. Un giorno, la stufa non voleva accendersi. Mauro era di servizio, se ne doveva quindi occupare lui, e corse il rischio di provocare la reazione dei suoi compagni, che l'avrebbero trovata spenta dopo essere stati tre ore fermi sotto la tormenta per l'appello consueto. Fortunatamente, la stufa si accese all'improvviso, mentre i compagni lo chiamavano per andare all'appello. Mauro ebbe solo il tempo di riavvolgersi nella coperta che prese dal letto. Il pastrano rimase sulla stufa e si bruciò. M.P. scrisse poi, in proposito, sul giornalino: "Il pastrano russo che l'invidia degli altri indumenti condusse al rogo...". Il lavoro di restauro del pastrano costò a Mauro tre ritratti fatti a quelli che gli prestarono ago, filo e qualche toppa di tessuto con i quali restaurare l'indumento per fortuna ancora non completamente inservibile.

Nel soggiorno di Biala Podlaska un giorno annunciarono che avrebbero ricevuto dei pacchi della Croce Rossa. "Cosa conterranno?" pensavano. "Biscotti, fagioli, riso, pasta: un sogno". La corvée si caricò di questo peso dei pacchi, che si rivelò, purtroppo, perfettamente inutile: contenevano infatti libri di I, II e III elementare, che vennero comunque utilizzati sia per accendere la stufa che per fabbricare le "patatiglios", sigarette formate dai residui delle foglie di tiglio (che servivano anche per preparare la bevanda che distribuivano agli ufficiali) e da bucce di patata. Avendo con se la matita, qualche tubetto di colore a olio e qualche pastello, Mauro si ingegnava a ritrarre i suoi sfortunati colleghi. Come pennello usava quello che gli aveva costruito il suo attendente, con i peli di coda di cavallo. Tra gli altri, eseguì quello di un ufficiale dei granatieri con cui aveva l'abitudine di fare qualche passo dopo il "lauto" pranzo, per stornare da loro i morsi della fame di cui si lamentavano entrambi. Il granatiere, tre volte più alto di Mauro, lo guardava dall'alto dei suoi due metri e oltre. Il più piccolo, Mauro, guardava dal basso in alto il granatiere, negli occhi. Egli, guardandolo con mimica espressiva, bruciò le sue osservazioni sulla fame insopportabile, con questa frase: "E tu pensi che il mio budello sia lungo quanto il tuo?", chiudendo perentoriamente il discorso. Al ritorno in baracca, il piccoletto fece un disegno al succitato granatiere. Questi, soddisfatto, gli donò una canottiera che, piegata in quattro, servì da maglietta e sostituì la ormai irriconoscibile (a causa del prolungato logoramento!) maglia, che avrebbe dovuto difenderlo dai rigori a venire. Un giorno si affacciò un certo capitano G.(capitano effettivo, non di complemento, dunque era titolare, militare di professione), il quale voleva stipulare con Mauro e con altri prigionieri un patto speciale: ognuno di loro avrebbe dovuto consegnare la metà della propria razione di patate a lui, che l'avrebbe conservata per farne la domenica uno sformato unico, da mangiare tutti insieme. Disse questo con tanta dolcezza che essi avrebbero accettato la proposta se non li avesse dissuasi M.P., che li avvertì del pericolo che li sovrastava: in realtà avrebbe mangiato lui tutte le patate!