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Il 'Corso Sergenti' a Padova

 

Quel giorno una cartolina rosa venne a comunicargli una fine ed un principio. Tre giorni dopo era al Distretto Militare. Gli misero un bracciale col segno del coscritto e lo spedirono a Padova, dove gli era riservato il posto al fresco di un… androne (per le reclute non vi era altro!). Lì, una coperta da campo e un mucchio di paglia gli annunciavano le delizie della nuova vita. La mattina seguente lo assegnarono ad una compagnia di reclute in odore di istruzione, dove non fu accolto affatto male, anzi. Si accorsero che era studente (diversamente da loro) e si affezionarono a lui, dandogli tutti i consigli possibili "in caso di naja". Alla fine arrivarono anche a pulirgli le scarpe col "nero fumo del fante". Mauro ricorda la sveglia, le marce, le esercitazioni, il rancio, la libera uscita, la ritirata e l'amicizia di questi commilitoni meravigliosi che furono il primo sostegno al suo "mal di nostalgia" dell'animo e ai mali delle fatiche fisiche. Ma anche questo, come tutte le cose umane, ebbe fine.

Fu poi inserito in una compagnia di soldati - studenti. Ricorda quando assistette allo spettacolo allestito dagli stessi militari, dove si esibivano in veste di cantanti donne e uomini (pur essendo tutti di sesso maschile) e prestigiatori da strapazzo. Gli studenti, già indottrinati alla nuova dimensione culturale dell'"inno al reggimento", si divertirono (e Mauro con loro) a sollevare le vesti dei cantanti per mostrare al pubblico i mutandoni o a nascondere gli oggetti al prestigiatore che, poveraccio, non riusciva a portare a termine i suoi numeri. Queste ed altre piacevolezze causarono l'allontanamento degli studenti dagli spettacoli. Quando si permisero di frequentare il famoso Caffè Pedrocchi di Padova e fu notata la loro presenza dagli aristocratici del luogo (un mio commilitone chiese dell'acqua minerale colpendo il bancone con un sonoro pugno), sopravvenne la proibizione assoluta di recarsi in quel locale. Frequentavano però, la sera, il "Sanitas", in corso Garibaldi, dove si mangiava dell'ottima pastasciutta al posto del solito rancio. Quando il tenente G. scoprì che Mauro possedeva due gavette (cosa proibita dal Regolamento), gli venne per la prima volta assegnata la punizione di 5 giorni di consegna. Dovette quindi rinunciare al "Sanitas". I suoi compagni gli portarono però delle pastarelle e una birra.

Conobbe in questo periodo il professore universitario P., suo vicino di letto. Stava studiando il sanscrito e si era accorto che Mauro disegnava usando i pastelli. Attaccava poi, con delle puntine, i fogli sotto gli sgabelli per non farli rovinare. Una delle sue poesie pubblicata in un testo uscito alla fine del corso per sergenti, recitava così: "Mauro Masi dipinge dei pastelli e li attacca agli sgabelli. Sono davvero belli, chiedetelo a P."(il caposquadra). Mauro ricorda ancora le file sotto i pioppi dei soldati che marciavano. Cominciò allora a capire la relatività dello spazio - tempo: il tempo a prova di marcia e a prova di durata del corso da sergente (per un totale di tre mesi). Il tempo non passava mai: la sveglia era alle 6; per arrivare alla libera uscita (dalle 18 alle 21) doveva trascorrere uno spazio che sembrava"intersiderale". La compagnia studenti fu invitata dai "Gufino" di Padova (i componenti del GUF: Giovani Universitari Fascisti), nella grandissima sala del Palazzo della Ragione, dove gli ufficiali li consegnarono ai gerarchi che li avevano invitati e andarono via. Infatti, si volevano distinguere dal fascismo…. Li lasciarono in loro balia, cosa di cui approfittarono totalmente. Quando uno degli oratori pronunciò questa frase: "Uno solo ha fatto per voi la domanda di volontario…", B., uno dei commilitoni, rispose così: "Chi è? Fammèll canosce, 'sto piezz'e cantero". Nel frattempo, gli altri fischiavano sonoramente, con relativo coro di pernacchie. Rientrarono quindi in caserma pienamente soddisfatti, commentando argutamente le nostre condizioni da "stress da istruzione", rispetto alla freschezza dei loro colleghi imboscati che li avevano invitati, i quali si pavoneggiavano nelle loro divise fiammanti. Addirittura, i superiori volevano far porre sulla loro divisa la sigla "V U" (Volontario Universitario). Tutti rifiutarono in blocco.

Le smisurate fatiche sulle montagne intorno a Valdobbiadene (provincia di Treviso) gli sembravano una gita di piacere a confronto della vita tra Salboro e Campo di Marte, o alle marce a Praglia (dove si esercitavano al tiro). In una di queste esercitazioni un suo commilitone (soprannominato Napoleone, per l'evidente somiglianza) scomparve alla vista degli altri perché era andato, insieme a Mauro, a vedere gli affreschi delle famosa Abbazia di Praglia. Finito il Corso per Sergenti, agli esami i superiori espressero la loro meraviglia nel constatare il livello culturale dei componenti la Compagnia studenti, al quale erano riusciti ad "appiccicare" le nozioni di cultura militare che erano state oggetto delle lezioni durante il Corso. Mauro ricorda, tra gli altri contenuti, la seguente definizione: "L'ordine è l'abitudine di mettere ogni cosa al proprio posto, non per speranza di ricompensa o timore di pena, ma per intima convinzione della sua intrinseca necessità". Ognuno poi era libero di interpretare la versione della frase opportunamente riveduta… ( per esempio: "non per speranza di pena o timore di ricompensa").

A promozione avvenuta, la licenza. Il viaggio Padova - Potenza sembrò a Mauro foriero di infinita felicità. La prospettiva era di passare 15 giorni in famiglia. Un sogno! Sosta a Roma, dove i suoi zii non credevano che fosse stato promosso sergente. Vollero infatti vedere il foglio di viaggio, che era intestato al "sergente Mauro Masi". Ecco però la delusione del rientro: nessuno si rendeva conto delle fatiche che aveva sopportato, né di quelle che non si aspettavano da un futuro che sarebbe stato colmo di maggiori sciagure.

Al ritorno, fu accantonato con i gradi di sergente, in attesa di nomina verso le truppe operanti, le divisioni, in preparazione per la guerra vera e propria. In quel periodo conobbe un amico che sapeva che Mauro era pittore. Un giorno venne il piantone del comando di battaglione e gli disse che lo voleva vedere l'aiutante - maggiore. Mauro lo trovò che stava radendosi. Il profumo di borotalco lo riportò alle trascorse "sensazioni borghesi". "Tu sei Masi? Mio nipote mi ha detto che sai disegnare. Guarda lì". C'era un cartellone con l'organico del reggimento… Mauro avrebbe dovuto scrivere tutti i cartellini con i nomi dei componenti del reggimento. Gli balenò subito nella mente l'idea di un po' di libertà. Sarebbe potuto uscire ed entrare dalla caserma a suo piacimento, durante il periodo di esecuzione del lavoro. Accettato l'incarico, salutò i suoi camerati, andò nella camera presa in fitto e si fece una salutare dormita. Pensò: domani andrò a dipingere acquerelli. Il secondo e il terzo giorno fece la stessa cosa, senza pensare minimamente all'organico del reggimento. Si fece poi rivedere dalla sua compagnia e seppe che nel pomeriggio del giorno seguente avrebbero dovuto prendere il treno per Este, per raggiungere il reggimento cui era stato assegnato. Realizzò quindi una porcheria inenarrabile, impacchettò il tutto e lo buttò letteralmente nell'ufficio del signor Maggiore. Raggiunse i suoi compagni con i quali partì per Este. Qui lo aspettava il congruo risultato della sua brillante azione: 15 giorni di consegna e 10 di punizione. Mauro fu accolto dal suo comandante di compagnia, capitano I.. "Cominciamo bene!" fu la prima frase che pronunciò (in riferimento alla consegna…). "Che hai combinato?" "Niente di importante". "Questa frase la conosco da tempo. E' usata da chi ha commesso qualche infrazione!". Il capitano lo assegnò al plotone del Tenente P., celebre per la sua occhiuta severità e per l'estremo rigore che usava contro i recalcitranti. Furono tempi duri, tra esercitazioni, punizioni, cicchetti continui ed altri "piacevoli incerti" di una vita già faticosissima anche a causa del terreno montagnoso che ci costringeva a marce molto dure. Malgrado tutto, Mauro, imperterrito, continuava, nelle ore di libera uscita, a dipingere con i pastelli che portava sempre con sé. Al ritorno, portava il pastello nella camera dove era accantonato e lo poneva in modo da poter osservare il risultato ottenuto, tra la curiosità e i commenti dei soldati. Mauro ricorda uno di questi commenti come la critica più bella che abbia sentito in vita sua nei riguardi dei suoi quadri. Un soldato si espresse in questo modo verso gli altri: "Guarda quella pianta come la ride!". Il soggetto del pastello era un noce nella sua veste già autunnale perché sull'Altopiano di Asiago a 2000 m l'inverno viene assai precocemente (eravamo nel settembre del '41). Era un bellissimo pastello: montagne accennate e, al centro, la pianta di noce con le foglie gialle che veramente ridevano…

Durante una delle marce in alta montagna Mauro seguiva una sua squadra e soprattutto un piccolo gruppo di soldati che si era attardato per il peso dello zaino affardellato con tutto l'equipaggiamento. Ci trasferivamo di notte da Marostica a Canove di Roana (Altopiano di Asiago). Questa - come Mauro seppe dopo - era la zona dove si presupponeva che sarebbero stati attaccati dai tedeschi. Si avvicinò il Tenente P. col frustino, gridando: "Avanti! Avanti!". Mauro gli rispose subito: "Ma lei non ha lo zaino! Il nostro, pesa!". Nello zaino, Mauro portava dei libri, tra i quali uno di storia dell'arte, di Michetti. Il Ten. P. lo tirò fuori e lo buttò nel precipizio (meno male che non buttò anche i pastelli). Mauro perse il lume della ragione. Si slanciò di corsa per buttare anche lui nel precipizio. Lo trattennero due soldati, per lo zaino e gli impedirono di commettere un delitto. Il giorno dopo, il comandante lo trasferì in un altro plotone, da un Tenente veramente bravo, che era un "signore". Infine, un pensiero al Caporale P.: di lui si diceva che fosse un uomo di ferro. Peccato che la parte superiore (la testa) fosse in legno!