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L'artista Mauro Masi talento da ricordare - 2016

di Rocco Brancati

 

Mauro Masi è stato, per dirla con Gerardo Corrado, una persona che abbiamo conosciuto ed amato e che ha consrvato la sua innocenza anche da vecchio. Sono d’accordo anche con quello che scrive Peppino Appella quando afferma (e lo fa in quel delizioso volumetto “Arte del Novecento in Basilicata” recentemente pubblicato dall’Apt) che Mauro fu “costantemente in cerca della realtà-identità perduta, una sorta di lessico familiare con il quale, sulla scia del suo primo maestro Michele Giocoli, si confronta non nella nostalgia di un tempo consumato ma perché si possa deciderei conservarlo in vista di una realtà diversa. Ho conosciuto e incontrato molte volte Mauro Masi, purtroppo solo negli ultimi dieci anni della sua vita. Masi era nato a Potenza nel 1920, la sua fu la generazione degli “intellettuali” (Gian Domenico Giagni, Rocco Scotellaro, Giovanni Russo etc,) ma non si considerò mai un intellettuale. Come i contadini della sua infanzia aveva un rapporto, un colloquio costante, intenso, con la natura; una natura o meglio un paesaggio che “commentava” o se vogliamo decodificava (un pittore non riproduce la realtà, basterebbe fotografarla, ma la ri-crea). La mia prima intervista a Mauro Masi risale al 2000 quando gli fu conferita la cittadinanza onoraria a Rivello. L’omaggio del paese che lo accolse per tanti anni e dove lui aveva la sua casa. Nel convento di Sant’Antonio dove si conserva un’”Ultima Cena” di Giovanni Todisco da Abriola fu allestita una sorta di “antologica” dal titolo “Il paese e il pittore: Mauro Masi a Rivello”. Fu un “paesologo” ante litteram che profuse un amore senza condizionamenti verso la sua terra, una Lucania che fu ma che ancora è e potrebbe essere, nonostante tutto. Ricordo (forse era l’estate del 2002) che insieme ad Ulderico Pesce, andammo a salutarlo, dopo aver saputo che era rientrato a Rivello per le vacanze. Una casa rimasta “abbandonata” per almeno un anno. Molte cose in disordine, ma la cosa che più mi sorprese era quel pavimento disseminato di fogli su ognuno dei quali Mauro aveva fatto un disegno, uno schizzo, uno scarabocchio, forse idee per un dipinto, mille dipinti. Prese uno di quei fogli volanti e mi mostrò quello che definì “le tre albe”. “Quando disegno un’alba non guardo l’orologio perché, disse, non è questione di ore ma di luce”. Ogni cosa ha la sua stagione e Mauro Masi aveva il dono di saper leggere e tradurre la tradizione come avanguardia, la fine con l’inizio, il suo mondo incantato inteso come creatura del desiderio. Ricordando quell’incontro con Mauro Masi mi ritornano le parole di Gerardo Corrado, quando nelle frequenti passeggiate per Via Pretoria, alla domanda che cosa significa fare arte ed essere artista, disse: “l’iperrealismo prima e la pop-art dopo, hanno tentato di fare un’arte di massa che, cedendo a una provocazione di tipo consumistico, fosse in grado poi di penetrare il fruitore dell’offerta artistica ad un livello più alto, ma il soggetto individuale dell’arte è imprescindibile; non c’è arte senza un soggetto individuale che organizzi il reale, in una visione poetica, cioè in un mondo possibile e “altro” rispetto a quello della merce e del consumo”. In fondo la peculiarità nella produzione artistica di Mauro Masi è, per dirla ancora con Appella, quando egli “si estrae dalla realtà legata alla cronaca per dar rilievo alle forme in assoluto, concentrando così nella medesima immagine l’estate e l’inverno, il giorno e la notte. La veduta d’insieme si fa particolare, le suggestioni di Braque si fondono con i suggerimenti di Balla ed entrambi uniformano attimi intensi in cui l’ironia incide come tema espressivo di dinamismo. Si esalta così la vocazione di Masi all’acquerello. L’acquerello, al contrario della pittura, ripercorre il paesaggio fantastico o domestico della Lucania per individuarlo negli esatti contorni, in un’atmosfera di sospensione”. Insomma, nell’Arte del Novecento in Basilicata, Mauro Masi è stato un grande protagonista. Peccato che, così come auspicato da tempo proprio da Peppino Appella, non sia stata ancora promossa a Potenza, nella sua città, una mostra antologica, perché Potenza possa finalmente rendere omaggio ad uno dei suoi figli migliori.