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Come "mani di forbice", un modesto contenitore in cui c'era il suo mondo - 2016

Perse la cassetta dei colori, completa di pennelli. Una piccola cassetta di compensato che a vederla non somigliava affatto a quelle valigette in legno verniciato o a quegli eleganti e raffinati bauletti che vediamo oggi in commercio. A Scutari, nell’Albania nord occidentale, all’indomani dell’8 settembre del 1943, Mauro Masi ufficiale comandante di una compagnia, nel generale “sbandamento” dell’esercito italiano, fu preso dai tedeschi insieme ai suoi soldati e tradotto in un campo di concentramento a Biala Podlaska, in Polonia. Quel modesto contenitore era parte importante della sua vita: gli era stato donato a Potenza, quando era ancora bambino, dal pittore Ettore Bianchi, ed era ormai diventato per lui una specie di protesi, un oggetto di cui non poteva più fare a meno, una specie di “mani di forbice”, un arto artificiale insomma. Utilizzando i pennelli e i colori conservati nella piccola cassetta, ma anche grazie al suo talento, Mauro riusciva a dipingere ovunque, perfino su un semplice pacchetto di sigarette, come quella volta quando un caporal maggiore gli aveva chiesto di disegnare il volto della sua ragazza. Ben sapendo l’uno e l’altro, pittore e committente, che quell’involucro, quel pacchetto di carta, così fragile, avrebbe avuto vita breve. Nel campo “A”, quello della prigionia, l’inverno del ’43 fu talmente gelido che, al confronto, piazza polmonite a Potenza, dove sia pur raramente si toccavano, per i forti venti, i 7-8 gradi sotto zero, poteva benissimo trasformarsi in una spiaggia tropicale dove prendere il sole in costume da bagno. Sognando i paesaggi lucani, quei paesaggi ondulati, pieni di colori e di luci, le vedute di un Appennino poco antropizzato, Mauro “interpretava” nella sua mente la nostalgia della propria terra. A Biala Podlaska c’erano altri potentini e prigionieri lucani: i fratelli Michele e Rocco Pergola, Rocco Riviezzi, Nicola Rizzi, Ernesto Scaglione, Vittorio Caputo, Nicola Stramiello erano tra questi. Quando poi furono trasferiti in un campo di concentramento in Germania, a Norimberga, “i potentini” decisero di fondare un giornaletto che chiamarono “La voce di San Gerardo”. Primo e unico numero di otto pagine interamente scritto e disegnato a mano. Mauro Masi ricordava spesso che il giornaletto era già stato ideato in Polonia perché si volevano annotare alcuni episodi accaduti agli internati lucani e conservarli “a futura memoria del calvario subito”. “Ci trovavamo in una condizione in cui soltanto il Santo Patrono di Potenza poteva salvarci”. E il miracolo alla fine il Santo lo fece perché quell’inverno la temperatura non scese mai al di sotto dei -30 gradi. Gli stessi tedeschi lo definirono “l’inverno degli italiani”. Dopo la guerra, tornato in Patria, Mauro Masi da Potenza si trasferì a Rivello dove rimase ad insegnare per molti anni, prima di trasferirsi a Napoli e poi a Roma. Fu dal suo ritorno sempre gioviale, sorridente, amico di tutti, capace di grandi generosità. E i colleghi, gli amici, i conoscenti non furono da meno. Si racconta che vedendolo passeggiare per Rivello, durante le frequenti nevicate invernali, coperto solo da una giacca, i colleghi della scuola dove insegnava, preoccupati per le sue condizioni di salute, decisero di raccogliere la somma necessaria per acquistare un cappotto che vollero donargli. Pensarono, i colleghi, che Mauro “per economia familiare” non fosse nelle condizioni di acquistare un cappotto. Quando glielo portarono, lui li ringraziò ma disse che lo avrebbe indossato poco perché ormai si era abituato a temperature ben al di sotto dei -2 gradi registrati nelle più rigide giornate invernali rivellesi. Si può affermare che non c’è casa a Rivello che non conservi un dipinto o un disegno del pittore potentino, opere d’arte realizzate nelle tecniche più diparate e su mille supporti, dal compensato alla tela, al piccolo pezzo di carta. Dipinti e disegni quasi sempre regalati ad amici e conoscenti. Spesso sono tele dipinte su entrambi i lati, che ritraggono volti e paesaggi, contadini e cittadini, e che ricordano il suo maestro, Michele Giocoli, conosciuto e frequentato dopo la guerra. L’uno e l’altro di formazione “fortunatiana”, l’uomo dalla tristezza meridionale, dello sfasciume idrogeologico. Un paradiso per chi ha conosciuto e vissuto nei campi di concentramento tedeschi.